Cosa ricordano le dita? Se la memoria scompare, possono gli oggetti aiutare a ritrovare i ricordi?
Sin da ragazza, Dalia ha lavorato come dattilografa, attraversando il ventesimo secolo sempre accompagnata dalla sua macchina da scrivere portatile, una Olivetti MP1 rossa.
Negli anni Novanta, ormai anziana, la donna viene colpita da un ictus che, pur non rivelandosi letale, offusca parte della sua memoria. I ricordi di Dalia tuttavia non si sono dissolti, essi sopravvivono nella memoria tattile dei suoi polpastrelli, dai quali possono essere liberati solamente nel contatto con i tasti della Olivetti rossa. Attraverso la macchina da scrivere, Dalia ripercorre così la propria esistenza: gli amori, i dispiaceri e i mille espedienti attuati per sopravvivere, soprattutto durante gli anni della guerra, riemergono dal passato restituendole un’immagine di sé viva e sorprendente, la storia di una donna capace di superare decenni difficili procedendo sempre a testa alta con dignità e buonumore. Un unico, importante ricordo, però, le sfugge, ma Dalia è decisa a ritrovarlo seguendo gli indizi che il caso, o forse il destino, ha disseminato lungo il suo percorso.
Un contenitore culturale Nulla di più Libri scelti su basi prettamente personali Non esiste un criterio di scelta tranne quello di ritenere la trama o la tematica trattata.
Informazioni personali
- RICCARDO SEDINI
- Sale, Alessandria, Italy
- Ex giornalista pubblicista; Organizzatore di festival letterari; Presentatore; Speaker radiofonico;
14 giugno 2020
13 giugno 2020
LÀZLÒ DARVASI LA LEGGENDA DEI GIOCOLIERI DI LACRIME
: Cinque anime misteriose percorrono giorno dopo giorno una terra desolata, figlia di una lunga guerra. Hanno lasciato le loro case vuote e in silenzio sono diventati saltimbanchi, giocolieri di lacrime: dai loro occhi sgorgano a comando sangue, miele, ghiaccio, schegge di specchio, miracoli; sul loro carro sgangherato sventola dipinta una grande lacrima del blu più blu che ci sia. Ovunque passino portano in egual misura speranza e disperazione, prodigi e maledizioni, la vita e la morte. Attorno al loro spettacolo, come guidati da un identico incanto, si radunano uomini e donne dalle storie straordinarie, da Irina Schiaccianoci, il cui sesso è in grado di frantumare qualunque oggetto, al nano giramondo Velemir Pep, da Ferenc Pilinger, il cui pene è scomparso dopo aver ucciso un uomo, a Borbála, la strega delle paludi. Il loro tragitto disegna un quadro di malìa attorno alle forche delle esecuzioni pubbliche. Ambientato in un'Ungheria lacerata in tre parti, durante i centocinquant'anni dell'occupazione ottomana tra il xvi e il xvii secolo, "La leggenda dei giocolieri di lacrime" è un romanzo visionario che mescola storia e letteratura, oralità e azione. Una favola grottesca in cui la violenza più reale convive con la magia e il soprannaturale, e in cui i cadaveri degli uccisi danzano accanto ai talami dei nuovi amanti.
FRANCESCO GUCCINI NON SO CHE VISO AVESSE
Che aspetto avrà avuto un mio probabile (o improbabile) antenato, quel Guccino da Montagu’ che, secondo un documento del Cinquecento, è chiamato come testimone in un processo riguardante dei possedimenti fondiari? “Non so che viso avesse…”, è il caso di dirlo»: come sempre, per raccontare di sé Francesco Guccini parte dalle radici. La famiglia di mugnai che per secoli fatica e lotta in una valle tra gli Appennini, il padre che per primo fa un mestiere diverso, e lui, il giovane Francesco, che presto impara a giocare con le parole e con la musica. I viaggi tra la via Emilia e il West, gli amori, il successo, i molti amici ormai partiti «per più verdi pascoli», la vita che si fa letteratura e la letteratura che diventa nutrimento costante.
CRISTINA CASSAR SCALIA LA SALITA DEI SAPONARI
Solo un caso molto complesso può distogliere, anche se per poco, il vicequestore Vanina Guarrasi dalla caccia ai propri fantasmi e riportarla in azione. Anzi, qualcosa di piú di un caso: un intrigo internazionale all'ombra dell'Etna. Esteban Torres, cubano-americano con cittadinanza italiana e residenza in Svizzera, viene trovato morto nel parcheggio dell'aeroporto di Catania; qualcuno gli ha sparato al cuore. L'uomo ha un passato oscuro, e girano voci che avesse amicizie pericolose, interessi in attività poco pulite. Eppure le indagini sono completamente arenate: nessun indizio che riesca a sbloccarle. Questo finché a Taormina, dentro un pozzo nel giardino di un albergo, si scopre il cadavere di Roberta Geraci, detta «Bubi». Torres e Bubi si conoscevano. Molto bene. Con l'aiuto della sua squadra e dell'immancabile Biagio Patanè, commissario in pensione che non ha perso il fiuto, Vanina riporterà alla luce segreti che hanno origine in luoghi lontani. Ma non potrà dimenticare gli incubi che la seguono fin da quando viveva a Palermo. Questioni irrisolte che, ancora una volta, minacciano di metterla in pericolo.
FRANÇOISE SAGÀN I QUATTRO ANGOLI DEL CUORE
Henri è un imprenditore che ha fatto fortuna con il commercio del crescione. Vedovo, ha sposato in seconde nozze la nevrastenica Sandra, e non smette di pentirsene. Oltre a molti rimpianti, il primo matrimonio gli ha lasciato un figlio, Ludovic, sopravvissuto contro ogni aspettativa a un terribile incidente ma rimasto, secondo tutti, un po' «suonato»: Marie-Laure, sua moglie, non nasconde il disgusto per questo «mezzo marito», e nemmeno l'interesse per i suoi soldi. Alla Cressonade, la casa di campagna nella Turenna dove i quattro conducono la loro esistenza nel segno della volgarità e dell'ipocrisia, giunge come un vento fresco Fanny, la madre di Marie-Laure. Sensibile e piena di charme, si appassiona alla sorte infelice del genero più di quanto lei stessa sia disposta ad ammettere. I quattro angoli del cuore mette in scena questi indimenticabili personaggi, le vibrazioni reciproche che sguardi, contatti, parole d'improvviso innescano, generando una catena di pulsioni e irrefrenabili desideri in cui i protagonisti smarriscono se stessi e i rispettivi ruoli, pubblici e privati. E una storia di provincia, tra perbenismo e trasgressione, cattivo gusto e decadenza, ma che parla anche di uomini e di donne, istinti e sentimenti sospesi fuori dal luogo e dal tempo.
ILARIA TUTI FIORE DI ROCCIA
«Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche chi è rimasto nei villaggi, mille metri più in basso. Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle. Dobbiamo andare, altrimenti quei poveri ragazzi moriranno anche di fame. Questa guerra mi ha tolto tutto, lasciandomi solo la paura. Mi ha tolto il tempo di prendermi cura di mio padre malato, il tempo di leggere i libri che riempiono la mia casa. Mi ha tolto il futuro, soffocandomi in un presente di povertà e terrore. Ma lassù hanno bisogno di me, di noi, e noi rispondiamo alla chiamata. Alcune sono ancora bambine, altre già anziane, ma insieme, ogni mattina, corriamo ai magazzini militari a valle. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione. Risaliamo per ore, nella neve che arriva fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. Il nemico, con i suoi cecchini – diavoli bianchi, li chiamano – ci tiene sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo, mentre ci arrampichiamo con gli scarpetz ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i «fiori di roccia». Ho visto il coraggio di un capitano costretto a prendere le decisioni più difficili. Ho conosciuto l’eroismo di un medico che, senza sosta, fa quel che può per salvare vite. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall’inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire. Ma oggi ho incontrato il nemico. Per la prima volta, ho visto la guerra attraverso gli occhi di un diavolo bianco. E ora so che niente può più essere come prima.»
PAOLO DI STEFANO NOI
Finché sprofondato nel camminare, nell'ascoltare le curiosità di Maria e nel risponderle, a un certo punto ho cominciato ad avvertire che lì insieme a me e a Maria, per le strade di Città Studi, ti eri aggiunto anche tu e soffiavi e parlavi con noi, non volavi ma camminavi e parlavi con noi, e ne ero sicuro, talmente sicuro che neppure ho voluto chiedere a Maria se sentiva la stessa voce che sentivo io. E così in tre abbiamo fatto le scale, siamo entrati in casa e io mi sentivo assurdamente felice.
Lo scherzo tormentoso inflitto a un fratellino minore, un frutto mangiato insieme al nonno sotto un albero di mandorle, l'intercalare di un padre – "picciotti mei!"; ma soprattutto un giorno dell'aprile 1967 in cui piove, Patty Pravo compie diciannove anni, a San Siro Burgnich segna il secondo gol contro il Bologna e un bimbo di cinque anni muore per una malattia che di lì a pochi mesi diventerà curabile. Ci sono nella vita infiniti momenti che scorrono senza che ne conserviamo memoria, e altri invece destinati a imprimersi nella mente in modo così vivido da renderli misteriosamente compresenti a ogni istante che verrà. Paolo Di Stefano – il fratello maggiore, colui che gioca in un'altra stanza mentre la morte arriva, il figlio condannato a vivere e ricordare – trova in queste pagine le parole per ciascun ricordo e insieme colma lacune, cerca ragioni, inscrive la storia di una famiglia nella Storia che ci coinvolge tutti. La Sicilia del Ventennio e poi dello sbarco alleato, un amore a Palermo, la Milano frenetica del boom, un uomo innamorato della letteratura che dalla luce accecante del sud giunge in Svizzera per cercare riscatto da un padre violento; donne dall'aspetto fragile ma dalla tempra di leonesse; il dialogo mai interrotto e mai compiuto con il fratello, la cui voce – rossa come le macchie sottocutanee della leucemia – è sottile e perentorio contrappasso a ogni momento di tregua; il futuro intravisto nelle curiosità di una figlia.
LAURA BOSIO BRUNO NACCI LA CASA DEGLI UCCELLI
Parigi, 1794. In una zona centrale della città sorge un palazzo sede di un collegio militare. Un edificio come tanti, eppure le ricche sale affrescate da Pigalle e il vasto parco con le voliere, un tempo frequentati da rampolli di buona famiglia, nel giro di pochi mesi si sono trasformati in un carcere. Un carcere con una caratteristica unica: i prigionieri non hanno nessuna intenzione di fuggire. È lì, infatti, che nei mesi del Grande Terrore si nascondono una trentina di aristocratici e facoltosi borghesi, sul cui capo pende minacciosa la ghigliottina, e che devono la loro sopravvivenza unicamente alla Sezione Rivoluzionaria che li tiene in ostaggio – ma al sicuro – in cambio di denaro. Nelle stanze ormai in decadenza della Casa gli ospiti ripetono i riti di un mondo che fuori sta sanguinosamente crollando, uniti in un gioco di intrighi e ricatti: baroni, burocrati, principesse sotto mentite spoglie, generali in pensione, vescovi spretati; un ragazzo arrivato con i nonni che trova conforto in una giovane vedova; una ex dama di corte svampita e aggrappata al fantasma di un passato fastoso... A fare da tramite con il mondo esterno è Bertier, un parrucchiere che frequenta la Casa e che si occupa anche della testa del temibile Fouquier-Tinville, l’implacabile accusatore del Tribunale Rivoluzionario, allora in feroce competizione con Robespierre. Una testa più che mai in bilico, come in bilico sono le vite di tutti, in balia della furia dei tempi, dominati, come spesso i nostri, dall’irrazionalità. Per dirla con le parole di Bertier: «La Rivoluzione ha fatto di noi, anche noi barbieri intendo,degli uomini liberi. E sai cos’è la libertà in questo mondo disgraziato? Prendersi tutto quello che si può».
SERGIO SEGIO MICCIA CORTA
Sergio Segio, il "comandante Sirio", è stato tra i fondatori di Prima linea, l'organizzazione armata che ha contato mille militanti e migliaia di simpatizzanti. In questo libro descrive una delle azioni più clamorose e audaci della lotta armata in Italia: l'assalto al carcere di Rovigo con cui liberò la sua compagna e altre tre detenute politiche. Il racconto si snoda in una sola giornata, il 3 gennaio 1982, con un ritmo incalzante tipico delle migliori sceneggiature di film d'azione. Sullo sfondo si intersecano alcuni fotogrammi delle lotte e dei movimenti degli anni Settanta.
12 giugno 2020
NICOLA CHIAROMONTE IL TEMPO DELLA MALAFEDE
La straordinaria figura di Nicola Chiaromonte, discepolo di Caffi, amico di Camus, Hannah Arendt e Malraux, assieme al quale combattè nella guerra di Spagna, critico di ogni ideologismo, di ogni totalitarismo, di ogni società che vive nella malafede, e che è pronta a credere a ogni menzogna. Fu nemico del mito dello Stato nato con la modernità, e che accomunò Mussolini, Stalin e Hitler. Fu direttore con Silone di “Tempo Presente” e studioso e critico teatrale. Incompreso dalla sinistra, continuò a credere nella necessità di gruppi e comunità
che si opponessero alla deriva dell’Occidente, oppressiva e permissiva insieme.
che si opponessero alla deriva dell’Occidente, oppressiva e permissiva insieme.
Iscriviti a:
Post (Atom)
PAOLO ROVERSI ALLA VECCHIA MANIERA
Sono gli ultimi giorni dell’Expo, e Milano galleggia in un inedito silenzio quando in pieno centro viene ritrovato il cadavere di un avvoca...
-
Orfana di madre, Ebla cresce nell’entroterra somalo. L’anziano padre, astronomo e divinatore tradizionale, le insegna l’arte interdetta all...
-
Linda non lo sa, che diventare famosa non è così difficile: basta ubriacarsi una sera e lasciarsi filmare durante un rapporto intimo e ades...
-
La voglia di morire, di farla finita non senza tornare per l'ultima volta nei luoghi dove si sono svolti i fatti. È possibile che a dic...