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Sale, Alessandria, Italy
Ex giornalista pubblicista; Organizzatore di festival letterari; Presentatore; Speaker radiofonico;

29 febbraio 2020

JOSÈ SARAMAGO CECITÀ

«C'era un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino che sembrava strabico,

una giovane dagli occhiali scuri, altre due persone senza alcun segno visibile, ma nessun cieco, i ciechi non vanno dall'oculista»

In una città mai nominata, un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. La sua malattia, però, è peculiare: infatti egli vede tutto bianco. Tornato a casa con l'aiuto di un altro uomo (che ben presto si rivelerà un ladro) racconta l'accaduto a sua moglie. I due si recano da un medico specialista, dove trovano un "vecchio con una benda nera" su un occhio, un "ragazzino strabico", accompagnato da una donna e una "ragazza dagli occhiali scuri".

"Il medico", dopo aver esaminato l'uomo (che, nel seguito della storia, sarà chiamato "il primo cieco"), si accorge di non avere spiegazioni per quella improvvisa cecità. Ben presto, però, la cecità comincia a diffondersi. Il "ladro di automobili", "il medico", la "moglie del primo cieco", sono tutti colpiti dalla strana malattia. La "moglie del medico" sembra l'unica a non essere contagiata. L'epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere i gruppi di ciechi in vari edifici, allo scopo di evitare il contagio. Ogni giorno le guardie avrebbero fornito il cibo agli internati.

«Fra i ciechi c'era una donna che dava l'impressione di trovarsi contemporaneamente dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini, cosa evidentemente impossibile per una cieca, e più di una volta, o per caso o di proposito, si girò verso l'ala dei contagiati»

Il medico, la moglie del medico, l'unica dotata della vista e fintasi non vedente per non separarsi dal marito, vengono internati in un ex manicomio dove incontrano il primo cieco e sua moglie, la ragazza dagli occhiali scuri, il ladro di automobili, il vecchio con una benda nera e il ragazzino strabico, tutti colpiti dalla malattia contratta nello studio oculistico. Inizialmente la distribuzione degli alimenti avviene regolarmente, ma ben presto i ciechi si ritrovano abbandonati, perché la cecità si diffonde anche tra i soldati e i politici, fino a colpire tutto il paese (tranne la moglie del medico). All'interno del manicomio, inoltre, un gruppo di ciechi (i "ciechi malvagi") s'impossessa di tutte le razioni di cibo provenienti dall'esterno per poter ricattare gli altri malati e ottenere potere e altri vantaggi, compresi rapporti sessuali con le donne. Proprio durante uno di questi stupri collettivi, la moglie del medico uccide il capo dei ciechi malvagi. Nel tentativo di rendere inoffensivi questi ultimi, un'altra donna dà fuoco ad un mucchio di coperte nella loro camerata, ma il fuoco si diffonde e finisce per avvolgere tutto l'edificio. Molti ciechi muoiono, ma una parte di loro (tra questi, il gruppo della moglie del medico), riesce a uscire all'aria aperta.

All'esterno dell'ex manicomio la moglie del medico vedrà i risultati dell'epidemia. Morti per le strade, la città in totale abbandono, gruppi di ciechi che occupano le case altrui e lottano l'uno contro l'altro per assicurarsi del cibo. Il gruppo della moglie del medico cerca di organizzarsi e di riacquistare la dignità che nella reclusione gli era stata sottratta; tra i membri si instaura amicizia e collaborazione e a loro si unisce un cane randagio, "il cane delle lacrime", attirato dal pianto della donna. Nel finale tutti i ciechi guariscono senza alcuna ragione apparente, proprio come all'inizio della vicenda era sopraggiunta l'epidemia.


NICOLETTA VALLORANI AVRAI I MIEI OCCHI

È inverno a Milano, la più fredda delle stagioni, nella più desolata delle città. Ma non c'è mai una stagione giusta per indagare su un mucchio di cadaveri di donne abbandonato come spazzatura alla periferia dei campi industriali. Donne? Persone? O piuttosto cavie, cloni, cose? È quello che si chiede Nigredo, chiamato a investigare, a cercare una verità, e quindi ad attraversare i muri che dividono, separano, proteggono Milano dal deserto civile in cui la città è immersa. Ma quando c'è un muro, c'è sempre qualcuno capace di valicarlo, e Olivia a bordo del suo taxi lo sa bene. Lei conosce Nigredo da tempo. Il loro legame è molto più profondo di quanto lui si immagini. Olivia e Nigredo, anime gemelle, sopravvissuti a tempi migliori, a tempi diversi, non sono pronti ad arrendersi all'età e alla devastazione che li circonda. Vivono quasi sospesi ancora in cerca di attimi di bellezza, e di un'idea di giustizia diversa da quella immaginata dal potere.

27 febbraio 2020

CRISTINA RAVA I SEGRETI DEL PROFESSORE

Regna la pace al confine tra il basso Piemonte e la Liguria di Ponente, tra un cielo pallido di fine inverno e il tenero verde delle colline. Ma è solo apparenza. Ci può scommettere l’ex commissario Bartolomeo Rebaudengo. A richiamarlo all’azione dal suo ritiro a vita privata provvede Ardelia Spinola, il medico legale che non ha mai imparato a mettere la giusta distanza tra sé e i cadaveri distesi sul tavolo autoptico. Adesso il poliziotto deve vedersela con una scia di sangue che parte da Alassio e si perde in Alta Langa, con una serie di delitti dietro cui sembra celarsi la mano di un serial killer. Tre fori di proiettile, a formare un triangolo scaleno sul petto delle vittime, sono la firma dell’assassino. Mentre la nuova amicizia tra Bartolomeo e Ardelia nasconde a fatica le tracce dell’antica passione, il segugio piemontese comincia la caccia. Stavolta, però, battere la pista giusta è davvero difficile: una giovane scrittrice, un anziano prete e un enigmatico professore custodiscono segreti inconfessabili. E le menzogne confondono la verità come la nebbia appanna il profilo dei crinali. Nelle pieghe di un’affilatissima commedia nera, Cristina Rava si conferma una voce unica nel sondare i tempestosi rovesci dell’amore proibito, negato, tradito, che tutto travolge e sconvolge.

23 febbraio 2020

GIOVANNI TESTORI PONTE DELLA GHISOLFA

Il ponte della Ghisolfa è una raccolta di diciannove racconti pubblicata da Testori nel 1958; essa fa parte di un disegno più ampio, una sorta di “commedia umana” dal titolo I segreti di Milano, “dove tutto – nomi e situazioni, personaggi e ambienti – si tiene, si intreccia e si conferma”. Nel Ponte della Ghisolfa è rappresentato “il mondo della periferia milanese, popolato di poveri diavoli che tirano la carretta in fabbrica o a bottega ma anche di sfaccendati pronti a tutto, di prostitute e ragazzi di vita, di ladri e macrò con licenza di ricattare se non proprio di uccidere, di aspiranti campioni sportivi e di torbidi nouveaux riches”. I personaggi del Ponte della Ghisolfa sono tutti giovanissimi, operai, baristi, che, in una Milano alle soglie del Boom economico, lottano per sopravvivere, abitano nella periferia dai grandi casoni grigi (Roserio, la Ghisolfa, Porta Ticinese), si incontrano nei bar, frequentano le palestre coltivando la speranza di diventare campioni di ciclismo o di pugilato, passano le domeniche nei “cine” o nelle sale da ballo, si innamorano. Lo straordinario racconto di una Milano ormai scomparsa, il libro da cui Luchino Visconti trasse diretta ispirazione per il film Rocco e i suoi fratelli.

22 febbraio 2020

MARCELLO BARLOCCO UN NEGRO VOLEVA IOLE

Alcuni fra i racconti selezionati in questo volume (si prendano ad esempio Un negro voleva Iole, La caccia all’urogallo, La gatta) sono tra le vette della letteratura italiana del ’900. È dunque una pubblicazione che andrebbe salutata come un vero e proprio evento nella nostra produzione di libri.
Marcello Barlocco, come scrittore ebbe qualche tenue riconoscimento in vita. I suoi Racconti del Babbuino, pubblicati nel 1950 dalle Edizioni Pagine Nuove di Roma, ebbero una menzione al Premio Viareggio di quell’anno; nel 1952, per le Edizioni Ala di Genova, pubblicò il romanzo Veronica, i gaspi e Monsignore mentre negli anni ’60 alcuni suoi «atti unici» – il cui testo è andato perduto – vennero messi in scena a Genova da Carmelo Bene.
Ma in generale – in un’Italia in cui dominava il canone realista, e in seguito un’avanguardia che inseguiva piste completamente diverse – non ci fu spazio per una voce come quella di quest’autore non inscrivibile in alcuna corrente né italiana ma nemmeno internazionale. Il grottesco, l’allucinato, la metamorfosi incontrollabile degli esseri e delle situazioni, contiene echi che potrebbero evocare un Allan Poe, oppure l’espressionismo tedesco, a volte lo stesso Kafka o anche il romanzo dadaista, sempre tuttavia in un richiamo approssimativo.
A ciò si aggiunge un percorso biografico che certo non fu di aiuto. Nato a Genova nel 1910 da una famiglia di farmacisti, Barlocco, dopo una parentesi adolescenziale di fuga come mozzo nelle navi (forse su imposizione della famiglia), provò a continuare la tradizione familiare laureandosi in chimica e farmacia, ma presto cedette al richiamo di una precaria esistenza di artista/scrittore randagio fra Genova, Roma, Milano, e alla fine venne assorbito dagli ambienti della malavita genovese e fu accusato di usare la sua scienza per raffinare la droga. Nel 1958 finì in carcere e poco dopo anche in manicomio criminale, che egli a sua volta denunciò di abusi efferatissimi nei suoi confronti (sosteneva lo si sottoponesse a esperimenti di mineralizzazione del corpo). Morì nel 1972 con all’attivo, oltre al libro di racconti e al romanzo menzionati, tutta una serie di novelle e articoli scritti per i giornali – fra cui, ecumenicamente,  «Il Popolo» e «L’Unità» – ma di cui ormai restano poche tracce.

21 febbraio 2020

ANNARITA BRIGANTI ALDA MERINI L'EROINA DEL CAOS

Una poeta, non una poetessa. Rock, ribelle, sopra le righe, contro ogni forma di convenzione e d'ipocrisia. Due matrimoni, quattro figlie, e una guerra mondiale, ricoveri in manicomio, telefonate notturne, amori celebri e indimenticabili furori, cicche di sigaretta, scrittura, solitudini. Alda Merini è impossibile da contenere entro i bordi di una pagina perché i suoi versi e la sua storia esondano, invadono la vita. Questa è una sua storia, narrata per le strade di Milano, tra le pareti della sua casa, nelle pieghe di decenni in cui le donne cambiavano, e con loro l'Italia. Grazie ad affascinanti ricostruzioni dell'epoca e a molte preziose interviste - agli amici, ai colleghi artisti, al fedele fotografo, alla figlia Barbara e a tanti altri - le voci di chi c'era si uniscono a quella dell'autrice per raccontare gli aneddoti, i pensieri, i retroscena, in presa diretta. Annarita Briganti ci offre su Alda Merini uno sguardo originale, ricco di sfumature e di dettagli. E ne illumina la vita con un taglio sghembo e partecipe, come il sole che tramonta sui Navigli cari all'artista, facendo brillare l'acqua e regalando ai nostri giorni ordinari una nuova magia.

18 febbraio 2020

COLLETTIVO LA COMUNE TRENI SBAGLIATI

Vige, a proposito dei conflitti degli anni Sessanta e Settanta, un dispositivo che implacabilmente vieta la parola a chi a quei conflitti ha partecipato non pentendosene, ossia senza barattare con ruoli istituzionali – nei giornali, nei partiti, nei sindacati, ad esempio – la propria abiura.

Abiura totale e radicale al punto da assumere la forma parodistica della conversione. Chi, invece, si è rifiutato di sottoporsi a questo procedimento inquisitorio, chi, cioè, si è sottratto all’ossessiva e sempre ribadita presa di distanza, non solo dagli eventi, ma dall’idea stessa della possibilità della radicale trasformazione dell’esistente è stato da destra e da sinistra indifferentemente trattato come il nemico, sul quale lo stato può impunemente esercitare la sua violenza e la sua vendetta.

Vendetta infinita, se è vero che i “rifugiati” italiani continuano a costituire un’emergenza sanabile solo seppellendoli, dopo trent’anni, in carcere, come ripetutamente pretendono vittime, giornalisti, politici e magistrati. La traccia, se pur labile, di una nuova lotta diventa l’occasione per evocare e rinnovare la “paura degli anni Settanta” e degli “anni di piombo” o, comunque, essa appare come un’intollerabile violazione delle regole della democrazia, divenuta ormai la forma politica più adeguata a rappresentare gli orrori dei nostri tempi.
Qualunque manifestazione, pertanto, che fuoriesca dalle regole saldamente stabilite, viene accolta come una “minaccia terroristica” che giustifica la guerra, dove quest’ultima – condotta dagli stati indifferentemente, ormai,all’interno contro i propri “cittadini” all’esterno – diventa forma di governo delle contraddizioni sociali. L’intollerante ideologia punitiva odierna, rabbiosamente veicolata dopo l’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001, si struttura fondamentalmente attorno a quattro assi portanti, i quali a loro volta si giustificano e si rinviano l’un l’altro precludendone ogni gerarchizzazione.

Primo: il tramonto dei concetti di rieducazione e riabilitazione della pena, qualunque sia il contesto del reato ed il tempo trascorso dal momento in cui è stato commesso.

Secondo: la tolleranza zero, cioè il ruolo centrale dell’incarcerazione ai fini del controllo sociale.

Terzo: il culto della vittima che designa ogni difesa dell’accusato come insopportabile affronto alla purezza e sofferenza della vittima, e propugna l’inasprimento ed il nonobli della punizione come necessaria e dovuta terapia al dolore della vittima stessa.

Quarto: il populismo giustizialista, più o meno indotto mediaticamente, assurto a fattore determinante delle politiche penali. Un’ideologia che, per quanto concerne i fenomeni di ribellione sociale, vede nei dispositivi penali e nei magistrati che li agiscono gli strumenti privilegiati, quando non unici, di regolazione attraverso la repressione pura e dura dei conflitti.Insomma, norme penali e magistrati non più strumenti neutri, terzi, fosse pure ipocritamente, di “risarcimento sociale”, ma scoperti mezzi e agenti di lotta, di parte. È sullo sfondo di questa vera e propria teologia della pena, del castigo infinito, che nell’agosto 2002, dopo vent’anni di esilio ufficialmente garantito e nei fatti consolidato, l’asilo dei “rifugiati italiani in Francia” viene bruscamente intaccato e rimesso in discussione. Pretesto formale è la fermezza richiesta dall’attualità della minacci “terrorista”, mezzo è la sepoltura della “dottrina Mitterrand”. Ipocrisie entrambe, dato che i fuoriusciti non sono certo più gente in armi attiva, e che la decisione politica mitterrandiana di non estradare riguarda un conflitto finito ed in sé non riproducibile di una ben determinata epoca passata. Si tratta invece di un’operazione di giustizialismo anacronistico applicato a scopi interni dai due Paesi interessati per ostentare quell’efficace collaborazione repressiva europea cristallizzata nell’illiberale e massimalista, e perciò giustizialista, “mandato di cattura europeo” (MCE), dal 2004 perno dello “spazio giudiziario europeo”, pur se non formalmente applicabile ai militanti attivi negli anni ’70/’80 perché la Francia ne ha arrestato la retroattività al 1993.

In proposito va osservato che è la medesima essenza giustizialista, e cioè l’appello a una giustizia rapida severa e sommaria nei confronti di chi si è reso colpevole di particolari reati, specie quelli di natura politica, che è agitata contro chi si macchia oggi di atti di contestazione radicale. Per cui, in fondo, la battaglia contro l’estradizione di un pugno di “vecchi compagni” e per l’amnistia dell’intera generazione sovversiva cui appartengono non è così anodina o marginale come può sembrare di primo acchito.

Norme procedure e mezzi di prova sulla cui base sono stati condannati i militanti di allora valgono pure per quelli di oggi. Infatti, l’emergenza italiana si caratterizza per la sua permanenza, visto che tutte le disposizioni repressive create in suo nome, ieri come oggi applicate da giurisdizioni normali, non comportano scadenze legate alla durata del pericolo che le ha originate, ma si sono stabilmente incrostate nei codici e fanno oramai parte solidale e irreversibile dell’ordinamento penale italiano.

Tutti questi dispositivi materialmente perenni tendono a rendere il detenuto politico il simbolo: del nemico sconfitto, della necessità della fermezza dello Stato, della rimozione degli eventi di cui è espressione. Nell’intento, malauguratamente più che avanzato, di tradurre le lotte sociali, quantomeno quelle dure, in termini criminali, di appiattire la “verità storica” sulla “verità giudiziaria”.

È in nome di questa democrazia nominalista che l’opzione giustizialista colpisce retroattivamente i “rifugiati italiani in Francia” sostenendo che non di guerra civile a bassa intensità si trattava allora, ma di unilaterale dichiarazione di guerra da parte di spietate associazioni a delinquere; dichiarandone comunque l’illegittimità perché l’Italia non era né la Grecia dei colonnelli né il Cile di Pinochet; e aggiungendo che la legislazione variamente premiale sui pentiti e la dissociazione escludono la necessità dell’amnistia.

Ed è per i medesimi motivi che le istituzioni europee hanno varato una serie di misure di cui il MCE costituisce il fulcro e la sintesi. In sostanza si tratta di provvedimenti (decisioni-quadro che presiedono all’armonizzazione delle legislazioni penali nazionali) che, da un lato, danno una definizione del “terrorismo” talmente aperta e articolata da coprire in pratica ogni tipo di reato, politico o no, commesso nello spazio europeo, e, dall’altro, semplificano ed accelerano, in sostanza automatizzano senza possibilità di ostacoli da parte del Paese richiesto, ogni eventuale procedura di estradizione fragli Stati membri dell’UE. Due le idee base: primo, la nozione di reato politico non ha più posto nell’UE; secondo, e senza passare per una previa un’armonizzazione dei sistemi penali nazionali, il mutuo e aprioristico riconoscimento delle decisioni giudiziarie dei Paesi membri dell’UE. Con la conseguenza apparentemente paradossale che, mentre si parla di declino dello Stato, ciascuno Stato membro estende senza intralci la sua mano giudiziaria su tutto il territorio dell’UE.

Le implicazioni che ne derivano sono più che inquietanti dato che, se scompaiono e il nemico politico e il reato politico, non possono più darsi né asilo né amnistia per un cittadino europeo.Un futuro non certo attrattivo né, si spera, supinamente accettabile.

L’episodio dell’oggi e il ricordo di ieri, pertanto, costituiscono una perfetta combinazione perché l’emergenza possa riproporsi all’infinito, perché possa mostrarsi il territorio della riserva che spetta a chi volesse rompere questa combinazione: il penale. Il risentimento e la vendetta alimentano una “cattiva memoria” deterrente di un “buon presente”, al punto che l’amnistia, l’abolizione dell’ergastolo e del 41bis non sono ascrivibili neppure alla possibilità del discutere, o che una richiesta di grazia o libertà di un detenuto dopo 35 anni di carcere, ancorché il suo nome sia Vallanzasca, scatena il pericolo per l’oggi, la sensazione dell’impunità, sensazione che, a questo punto evidentemente, può scomparire solo con la morte del reo.

In questo modo i fautori della moratoria contro la pena di morte, assicurano la pena fino alla morte.

Questo libro, allora, lungi dal rappresentare una resa alla memoria o il risarcimento malinconicamente offerto da una minoranza esigua a chi è costretto a vivere esiliato, si propone di ripercorrere a ritroso gli eventi, per rinvenire nel passato una indicazione del presente: la trascrizione giudiziaria di ogni conflitto, relegarlo nell’ambito del penale, è la modalità di governare le relazioni sociali, e in questo senso oggi non è diverso da ieri.

L’Italia degli anni Settanta è stato il luogo dove ha iniziato a essere sperimentata la possibilità che, come aveva ben visto Marx, lo stato d’eccezione diventi la regola, che, cioè, l’emergenza costituisca la normalità entro cui sono costrette le nostre vite.

Il penale, che dell’emergenza rappresenta un aspetto rilevante, appare non più e non solo forma di controllo e di repressione ma modalità che struttura la società, “cultura” della vendetta che ridefinisce il legame sociale attorno al desiderio della punizione ad ogni costo.

In quegli anni, allora, quando il conflitto ha posto effettivamente in questione il dominio feroce e disumano del capitale e dello stato, hanno preso corpo quelle misure emergenziali che, oggi, costituiscono gli strumenti a cui normalmente e largamente ricorrono gli stati per combattere il nemico di volta in volta prescelto.

I rom di Bologna, i lavavetri di Firenze, i giovani dispersi nei locali e nelle piazze di città e metropoli, i centri sociali, i precari, gli immigrati, i poveri non sono soggetti di relazioni sociali, produttive, umane, ma questioni di ordine pubblico, per loro si addicono ordinanze sindacali, decreti e sanzioni, persino l’espressione amorosa deve manifestarsi riproducendo gli stereotipi della “democrazia” spettacolare di volta in volta in voga, apponendo i lucchetti a ponte Milvio, perché, altrimenti espressa, scritta sui muri, costa tre mesi di carcere.

Rimovendo i caratteri sociali e politici dei conflitti dentro una società si mostra solo con tutta evidenza il motto gretto e imperante: “i trasgressori saranno puniti…” E allora i trasgressori di ieri e di oggi ci sono apparsi legati da un sottile filo, i treni, presi da tanti rifugiati anni fa, una metafora calzante.

Treni da sorvegliare perennemente perché portano con essi il virus della ribellione, non ha importanza se il virus, regredisce, muta, cambia natura, come nel film Cassandra Crossing, quei treni vanno accompagnati al precipizio.

Questo libro è la traduzione e l’arricchimento di un libro già pubblicato in Francia qualche anno fa. Oggi lo presentiamo articolato in sezioni. Nella prima sono presenti articoli che affrontano la soluzione politica in Italia, l’asilo politico in Francia, nonché lo spazio della legislazione in Europa; rivisitano le strade degli anni Settanta e rintracciano logiche, trasformazioni e comportamenti che impediscono di discutere di essi. Pur non condividendo in alcuni casi analisi e giudizi ci sembrano comunque che essi costituiscano un forte contributo alla rottura del silenzio e alla mera trascrizione giudiziaria di quegli anni…

Nella seconda sezione, specificamente sui rifugiati, sono raccontate le storie di Marina, Cesare, Paolo; il ricordo di Antonio, Alessandra e Sergio è segnato dal tempo infinito del risentimento superiore al loro tempo di vita. Alcuni articoli non sono volutamente firmati e non sono i rifugiati a parlare, ma altri parlano di loro. Come in un gioco di specchi i volti di ognuno appaiono confusi e indistinti ma con la responsabilità di rivendicare libertà per tutti e per ciascuno, e consapevoli che la nitidezza può essere data solo se movimenti sociali si fanno carico del conflitto di ieri e di oggi.

Nella terza sezione presentiamo contributi sulla questione dell’ergastolo, tematica che certamente necessita di più spazio e più attenzione di quanto riusciamo a darne in questo libro, ma abbiamo voluto fosse presente, perchè dentro il sistema del penale o meglio dentro la società penalizzata, l’ergastolo si erge a simbolo e parametro di “giustizia”.

Il libro vuole essere uno strumento di lavoro per riprendere dibattito e relazioni, per produrre e sostenere comportamenti conflittuali e antagonisti oggi, sapendo che solo la riappropriazione del presente fa riaffiorare una buona memoria.

PRIMO MORONI GEOGRAFIE DELLA RIVOLTA

Antropologo della città, ballerino, intellettuale rivoluzionario e punto di riferimento per diverse generazioni di militanti, fondatore della libreria Calusca di Milano, Primo Moroni ha saputo unire diversità e percorsi singolari senza mai dimenticare l’obiettivo di un mondo che fosse per tutti migliore, costantemente impegnato in un’attività intesa a “socializzare saperi senza fondare poteri”.

Autore insieme a Nanni Balestrini del testo fondamentale sui movimenti degli anni ’70 “L’Orda d’Oro” alla sua figura è legata la memoria della stagione dei conflitti sociali del lungo Sessantotto italiano, non meno che i germi dell’immaginario politico dei movimenti del nostro presente.

Lo scorso anno contavamo vent’anni dalla sua morte e DINAMOpress, come le Cattive Maestre, Qui e Ora, il Manfesto…, ha dedicato uno speciale al suo pensiero, in collaborazione con l’Archivio Primo Moroni, la libreria Calusca e il Csoa Cox18 che hanno messo a disposizione i suoi scritti conservati nel centro sociale dalla sua scomparsa nel 1998.

Quello speciale è diventato un libro che vi presentiamo insieme ai compagni di Dinamopress per provare a tracciare una linea rossa tra il pensiero di Primo e le tensioni dell’oggi

COX 18 MILANO NOIR E GIALD

Milano Noir e Giald
Luci e ombre di una città in 36 variazioni
Dai bassifondi della città, una nuova generazione di artisti e autori prende parola su una Milano allo sbando. Il libro lo trovi in Calusca, in via Conchetta 18, oppure lo puoi ordinare alla AgenziaX. Per presentare il libro, scrivici a questo indirizzo: cox18[at]inventati.org

Il nero e il giallo. Il giald in dialetto milanese, il noir come genere letterario capace di raccontare il presente e di coinvolgere un pubblico sempre più numeroso. Il registro del noir appare particolarmente adatto anche per gettare uno sguardo critico e dissidente su una realtà come quella milanese in cui esclusione, cleptocrazia, speculazione e uso politico della paura hanno ucciso l’anima della città e trasformato in mostri le sue figure popolari, dal “Me ciami Brambilla e fu l’uperari” al “Me ciami zanza e fu l’assessur”. In Milano noir e giald, e nel dvd allegato, si susseguono opere create perlopiù da giovani, raccolte attraverso una serie di iniziative organizzate dal centro sociale Cox 18, luogo storico dell’underground milanese. Testi, racconti orali, fotografie, disegni, fumetti, canzoni e immagini in movimento all’insegna dei due colori. Il nero di una città malsana e spietata che si può e si deve cambiare, il giallo perché questa inevitabile mutazione sarà piena di suspense, colpi di scena e criminali da scovare.

Aldo Amicucci, Gianluca Angioi, Giuseppe Apolito, Riccardo Avesani, Chiara Balsamo, Bettina Bartalesi, Marika Battarola, Paolo Binni, Federico Bovo, BSimo, Nelson Corallo, Pietro Dossena, Andrea Ferrari, Francesco Gallone, Gert l’infame, GGTarantola, Giubbonsky, Antonella Grieco, Andrea Guerra, Jerrinez, Lady Snowhite, Lucciole, Fanny Molteni, Alessandro Nebbia, Vincenzo Pandolfi, Paolo Pasi, Pear, Giovanni Pirelli, Serena Porrati, Titta Raccagni, Ratzo, Federico Rizzo, Paolo Robaudi, Vito Manolo Roma, Rosanera, Federico Tinelli, Lenin Andrejievic Ulianov, Paola Varalli.

Milano Nera
Nera come la magia nera del capitale fittizio (finanza, rendita immobiliare e saccheggio sans phrase) che domina la sua economia al punto di averne fatto la propria nave ammiraglia.
Nera come i buchi neri lasciati nel tessuto sociale urbano dalla distruzione dei quartieri storici e dalla deindustrializzazione seguita alla guerra sporca combattuta (e vinta) contro gli operai e la loro durezza.
Nera come la pelle nera (olivastra, gialla o comunque coloured) delle sue nuove plebi, quel “popolo degli abissi” che, per poterne spremere il sudore fino all’ultima goccia, viene clandestinizzato, controllato dai militari nelle strade e sottoposto al ricatto dell’espulsione.
Nera come l’anima di chi ci comanda (mafia e ‘ndrangheta ormai la fan da padroni in quella che un tempo amava autorappresentarsi come la “capitale morale” d’Italia; del resto, già allora, questa pretesa moralità altro non era che una gran banfata).
Nera come i fazulet (foera di ball!) del Ventennio e i craponi pelati d’oggigiorno.
Nera come il catrame misto tondinovetrocemento metastatizzatosi fino a diventare una metropoli senza confini, blob che ingloba e soffoca il suo intorno, mostruosa abolizione coatta e monocorde (invece che creativo e dialettico superamento) delle tradizionali differenze tra città e campagna.
Nera come la cronaca che spettacolarizza canagliescamente, senza saperla né raccontare né comprendere, la ciclotimia euforico-depressiva di questa metropoli senza confini, i cortocircuiti delle passioni tristi, le fobie aggressive, la psicopatologia del non-vissuto quotidiano, la violenza repressa.
Nera come lo sprofondo esistenziale che coglie il precario, l’“uomo flessibile” just-in-time, uso a lavorar servendo, al termine delle sue spericolate ancorché improbabili acrobazie surfistiche per non cadere nel gorgo della povertà conclamata e del disconoscimento.
Nera come l’abito-divisa delle torve torme di addetti alla security che vegliano gli accessi ai suoi sberluccicanti Antri del Vuoto.
Nera come la voragine della galera che ti uccide per pochi grammi di droga.
Nera come il sangue di Abba rappreso sull’asfalto.
Nera perché rosa dalla necrosi.

Postfazione (a cura di Cox18)
Il progetto del concorso creativo “Milano noir e giald nasce dalla passione di alcune persone del collettivo del centro sociale Cox18 per il genere noir. Inizialmente si trattava solo di condividere opinioni e scambiarci i libri di Izzo, Scerbanenco e di molti altri autori. Erano incontri vivaci e stimolanti in cui oltre a dare uno sguardo sul passato della nostra città, erano anche occasione per ragionare sul nostro presente e su quello che ci circonda.
Da qui l’idea di organizzare delle serate appositamente dedicate a questo genere letterario, cercando di coinvolgere anche i frequentatori del centro e nel frattempo raccogliere con loro testi e opere che potessero darci una visione nuova, più complessiva e popolare, della Milano nera. Abbiamo così deciso di indire un concorso legato al noir per incontrare, ascoltare e dare spazio alle voci della città in cui viviamo.
Il noir è stato quindi identificato come un registro espressivo ancora capace di descrivere la società e le sue trasformazioni, ma la scelta è stata quella di non costringerlo entro il limite del solo genere letterario, piuttosto abbiamo voluto che il tema si aprisse ad altri mezzi espressivi e a differenti linguaggi, fatti non solo di parole ma anche di immagini. Ci siamo appoggiati al blog di Cox 18 e alla sua mailing list, proponendo un testo che offriva una traccia o anche un semplice stimolo per tutti coloro che erano intenzionati a partecipare: “Le dodici variazioni del nero”, che trovate all’inizio di questa postfazione.
La risposta è stata notevole e sorprendente, sia per i numerosi lavori ricevuti sia per la variegata proposta di linguaggi in cui spaziano le stesse opere, dal racconto alla poesia, dal video al quadro, dal brano musicale al radiodramma, dal fumetto a elaborazioni visive molto ibride.
È stato interessante vedere come ogni autore ha interpretato le dodici variazioni del nero: chi ha optato per un’articolazione più prettamente noir, con i classici stilemi del genere, chi invece ha preferito impegnarsi su opere che prendono ispirazione da fatti di cronaca e ha deciso di affrontare temi legati al sociale, dove il nero è rappresentato dai vinti e dagli esclusi di una Milano tragicamente normalizzata e conformista.
Forte è stata la capacità degli autori di tradurre il presente, specchiandosi o semplicemente prendendo spunto dalle dodici variazioni del nero che avevamo lanciato per stimolare il bando di concorso.
Lo sguardo critico e dissidente degli autori su Milano mostra una forte necessità di raccontare e riflettere su questa città, che non è e non deve essere quella delle due o tre potentissime caste, o meglio gang, che la dominano, oppure del cosiddetto terziario che ora è diventato primario, inteso come rendita, speculazione edilizia, assalto alla diligenza degli appalti pub- blici con incompetenti amministratori municipali che blaterano di un Expo già fallito.
L’ennesima bella sorpresa è arrivata nel momento in cui il rapporto con gli autori si è fatto più stretto e abbiamo chiesto ai vincitori del concorso di mettere in scena le 36 opere per la serata finale. Il fitto scambio di mail per confrontarsi e allestire insieme l’iniziativa ha creato i presupposti per la costituzione di una piccola comunità, che ora si è attivata per la realizzazione della pubblicazione che avete tra le mani.

Un ringraziamento di cuore a tutti quelli che hanno partecipato e creduto in questo progetto, in particolare Anna Vivo, GigiZero del Morbid Studio, Giuliano, Vincenzo Costantino Cinaski, Folco Orselli, Matteo Speroni, Andrea La Banca, Guido Baldoni, Paolo Ciarchi, tutti gli autori (anche e soprattutto quelli non selezionati) e tutti quelli che non nominiamo per non annoiarvi troppo.



PRIMO MORONI CÀ LUSCA

«La ligera […] negli anni Cinquanta, nel tumultuoso dopoguerra, nell’Italia stretta nei sacrifici della Ricostruzione, è più che altro un tentativo fatto nei quartieri popolari, operai e proletari di sfuggire al destino, che sembra inevitabile, della disciplina di fabbrica», afferma Primo Moroni in Malamilano.

A questo destino non era dato di sfuggire nei modi della malavita romantica o sognando il grande «colpo» che ti risolve la vita.
Ma sia i proletari e i proletarizzati lombard sia coloro che a Milano erano arrivati con il treno e la valigia di cartone, entrando dalla «porta del lavoro, ponte della necessità, estuario del sangue semplice» (Anna Maria Ortese), qualche anno dopo avrebbero trovato il numero, la forza, la capacità di ribellarsi alla città-fabbrica e alle sue «centinaia di orologi che segnano il tempo del lavoro sterminato e il tempo del vissuto ristretto».
Il Ticinese, con la sua stratificazione di storie e culture, scolpite spesso nella toponomastica o nella memoria degli abitanti, con la sua tradizione di solidarietà e di accoglienza nei confronti dei diversi, con la sua stessa conformazione urbanistica, fu crocevia delle intelligenze e delle tensioni alla trasformazione sociale che allora resero viva la città. Nei «dieci anni che sconvolsero il mondo» fu, tra tutti i quartieri milanesi, il più «caldo», «fiammeggiante di bandiere rosse e rossonere», prima d’essere ricondotto a ragione (mercantile) e abbassarsi a luogo pittoresco, pieno di locali in cui si «vendono vino e panini senza amore e senza memoria».

Di questa vicenda storica, dei suoi luoghi e di alcuni tra i suoi protagonisti trattano gli scritti e gli interventi di Primo Moroni raccolti in questo libro, che dialoga idealmente con il film documentario Malamilano.

Non pochi anni sono trascorsi da quando pubblicammo queste pagine per ricordare Primo: barbe e capelli ingrigiti (per alcuni), le nostre ragazze più belle (tutte bellissime) con qualche segno in più, l’arrivo di nuovi giovani (alcuni, non migliaia) e l’intreccio di nuove relazioni (queste, sì, numerosissime). Anche, purtroppo, le morti di vari amici, Guccio, «Galassia», Gigi, Gianluca «Arki».
I giorni non sono tutti uguali, è noto, e l’alba del 22 gennaio 2009 vede il Ticinese invaso da celerini, digotti e carabinieri affluiti in forze per sgomberare il CSOA Cox 18, uno spazio sociale occupato dal 1976, già sgomberato per due volte nel 1989 e per due volte rioccupato. Con pesanti lastre di ferro elettrosaldate i tutori dell’ordine blindano le porte del Centro, dell’Archivio e della Calusca, ma non possono sigillare le ondate di solidarietà che a livello cittadino e nazionale scandiscono i 22 giorni che portano infine alla liberazione, avvenuta la sera del 13 febbraio. Davvero, non c’è il due senza il tre…
Da allora la musica, le presentazioni di libri, il mercatino biologico, le iniziative per i bambini, gli spettacoli di teatro, la cucina, le assem- blee di movimento e gli incontri di lotta, le visite e la consultazione dei materiali dell’Archivio hanno riempito questo spazio/tempo non omo- logato.

Non si spengono le luci della città perché, anche grazie a voi, continuiamo a sognare.

Marzo 2016

MARCO AIME CLASSIFICARE, SEPARARE, ESCLUDERE


Il razzismo è un fenomeno diffuso e insinuante, che si incarna in forme sempre nuove, piú o meno gravi, nei diversi contesti storici, sociali e culturali. I pregiudizi, le esclusioni, l'odio e la paura dell'altro sembrano essere una costante del comportamento umano.

Il primo gesto della costruzione dell'identità sembra essere quello di tracciare una linea tra «Noi» e gli «Altri», classificando chi va separato ed eventualmente rifiutato. Il volume affronta questa complessa questione da angolazioni diverse, ripercorrendo dapprima le molteplici forme storiche di razzismo nel contesto europeo, per poi adottare una prospettiva piú ampiamente antropologica, utile a individuare il confine, incerto e mobile, che separa quelle che possono essere considerate forme autentiche da altri tipi di avversione verso l'altro. Infine, l'autore intreccia queste due prospettive con quella della politica, per spiegare le nuove declinazioni del razzismo contemporaneo, figlio di quello passato, ma forte di caratteristiche inedite e sfuggenti, adattate ai tempi attuali, quando le costruzioni identitarie, basate su un principio di autoctonia, vengono sempre piú strumentalizzate e tradotte in azioni xenofobe violente.

GIORGIO FONTANA PRIMA NOI

Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro, una metamorfosi continua tra esodo e deriva, dalle montagne alla pianura, dal borgo alla periferia, dai campi alle fabbriche. Il tempo che scorre, il passato che tesse il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre e che è l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri.
È questo il paesaggio in cui vivono e muoiono i personaggi di Giorgio Fontana, i Sartori, da quando il primo di loro fugge dall’esercito dopo la ritirata di Caporetto e incontra una ragazza in un casale di campagna. Poi un figlio perduto in Nordafrica, due uomini sopravvissuti e le loro nuove famiglie, per arrivare ai giorni nostri: quelli di una giovane donna che visita la tomba del bisnonno, quasi a chiudere un cerchio. Quattro generazioni, dal 1917 al 2012, che si spostano dal Friuli rurale alla Milano contemporanea affrontando due guerre mondiali e la ricostruzione, la ricerca del successo personale o il sogno della rivoluzione, la cattedra in una scuola e la scrivania di una multinazionale. È circa un secolo, che mai diventa breve: per i Sartori contiene tutto, la colpa, la vergogna, la rabbia, la frenesia, il viaggio. Sempre lo scontro e quasi mai la calma, o la sensazione definitiva della felicità. Ma i Sartori non ne hanno bisogno, e forse nella felicità neppure credono. Perché se in ogni posto del mondo bisogna battersi e lottare allora è meglio imparare ad accettare le proprie inquietudini, e stare lì dove la vita ci manda.
Romanzo storico e corale, vasto ritratto narrativo del Novecento italiano, il racconto dei Sartori affronta il fardello di un passato che sembra aver lasciato in eredità solo fatica e complessità, persino nei più limpidi gesti d’amore. Se gli errori e le sfortune dei padri ricadono sui figli, come liberarsene? Esiste una forza originaria capace di condannare un’intera famiglia all’irrequietezza? Come redimere se stessi e la propria stirpe? La risposta a queste domande è nella voce di un tempo nuovo, nello sguardo di chi si accinge a viverlo, nelle parole di uno scrittore di neppure quarant’anni che ha voluto affrontare con le armi della letteratura la povertà e il riscatto, la fede e la politica, il coraggio dei deboli e la violenza dei forti.

17 febbraio 2020

ROBERTO CARBONI IL GIALLO DI VILLA NEBBIA


Una villa decadente avvolta nella nebbia. Il soffio gelido del vento di montagna. Occhi sinistri che spiano senza essere visti.

Piero Bianchi non è ben visto nel paese in cui vive. Sua moglie si è suicidata, lui ha fatto a lungo abuso di alcol, i compaesani lo considerano un assassino. E così, quando viene a sapere che a Villa Nebbia cercano un custode, si presenta per avere il lavoro. A riceverlo è un avvocato, Emidio, ex marito di Ilde, l'anziana proprietaria della villa. Di lei si occupa la nipote, Mariasole: le due donne sono le uniche a vivere nella grande casa. Piero non desidera altro che un po' di tranquillità e quella residenza spettrale, costantemente avvolta dalla foschia, sembra fare proprio al suo caso. Una volta stabilitosi lì, però, la nebbia non smette di tormentarlo. E in quella nebbia ha sempre l'impressione che qualcuno lo osservi: sente strani ticchettii sui vetri e, soprattutto, comincia ad avere l'impressione che nella casa e nel giardino che la circonda si aggiri un'altra presenza, oltre a Mariasole e Ilde... Quando però la villa diventa teatro di inquietanti eventi, i sospetti di Piero si fanno più forti. Possibile che si stia lasciando suggestionare dalle voci allarmanti che si rincorrono su quel luogo?

16 febbraio 2020

ENRICO LUCERI IL VIZIO DEL DIAVOLO

Antivigilia di Natale 2018.
È stata annunciata un’allerta meteo: è previsto un nubifragio che provocherà allagamenti e mancanza di collegamenti.
In un collegio sperduto nella campagna dell’Italia settentrionale, sono rimasti un prete, due suore e una giovane orfana. Dopo il crepuscolo, un frate chiede ospitalità al collegio per un incidente d’auto. E a tarda sera, il malore di una suora costringe un medico a raggiungere la scuola con mezzi di fortuna.
Da quel momento, comincia una notte di terrore.
Un assassino colpisce spietato, freddo e inafferrabile.
Un intruso penetrato nel collegio, o uno degli insospettabili ospiti?
O è davvero il diavolo a nascondersi negli angoli bui dei corridoi e a sghignazzare divertito?
La realtà sembra sempre più un’illusione, una magia, una messa in scena.
Perché forse è davvero il diavolo ad aggirarsi per il collegio.
E il suo vizio è ingannare.

LUCA CROVI LA STORIA DEL GIALLO IN 50 INVESTIGATORI

Auguste Dupin, Sherlock Holmes, Padre Brown, Miss Marple, Poirot, il commissario Maigret, ma anche Kojak, il Santo, l'ispettore Derrick, Dick Tracy e Batman. In questo libro Luca Crovi ci presenta la sua speciale lista degli investigatori più infallibili del mondo del giallo, mostrandoci i personaggi che hanno influenzato più di ogni altro la narrativa poliziesca: dal fumetto alla letteratura, dal cinema alla televisione, 50 biografie dei più celebri indagatori di tutti i tempi, accompagnate dalle inedite e originalissime illustrazioni di Angelo Montanari e precedute da un saggio che ci racconta la nascita del genere giallo e le ragioni del suo successo planetario.

ALESSIO FORGIONE GIOVANISSIMI

Marocco ha quattordici anni e vive con il padre a Soccavo, Napoli. La madre li ha abbandonati qualche anno prima, senza lasciare tracce né dare più notizie di sé. La sua assenza è una ferita aperta, un dolore sordo che non gli dà mai pace. La vita di Marocco ruota attorno agli allenamenti e alle trasferte: insieme a Gioiello, Fusco e Petrone è infatti una giovane promessa del calcio. Al liceo, invece, le cose non vanno affatto bene. Marocco preferisce starsene in giro con gli amici del quartiere o a casa a leggere Dylan Dog, piuttosto che andare a scuola e studiare. Ma due cose stanno per cambiare la sua vita: l’arrivo di Serena, che porta l’amore, acerbo e magnifico, e la proposta di Lunno, il suo amico più caro, che mette in discussione tutte le sue certezze.

A.E PAVANI VOCI NELLA NEBBIA

Un killer ossessionato dagli occhi delle sue vittime un istante prima che muoiano, una giovane detective in lotta con i fantasmi dentro e intorno a lei, un piccolo paese con troppi segreti: l'esordio di una nuova, solidissima voce del thriller italiano.

«Sotto di me, la barca ondeggiò bruscamente, come se qualcosa l'avesse afferrata. Mi aggrappai al bordo, sporgendomi, e trasalii con un grido strozzato. Il viso bianco e bluastro di Maria Toller fluttuava appena sotto la superficie e mi fissava con occhi vacui, come sospeso nel tempo.»

Immagina un'isola rigogliosa, e cinque bambini che rubano una barca per visitarla. Immagina una nebbia improvvisa, che tutto avvolge. E lì, nello strano sottobosco, immagina un albero illuminato dal sole, e le foglie che scintillano e vibrano alla brezza, riempiendo l'aria di un suono crepitante. Solo che non sono foglie: sono fotografie. Fotografie di occhi. Gli stessi occhi che, diciannove anni più tardi, affollano gli incubi di Lisa Harding, detective della Omicidi di Londra. Delle ultime settimane Lisa ricorda poco. I colleghi le raccontano che è stata assalita, che ha rischiato di morire, ma mentre cerca di ricostruire l'accaduto, riesaminando il caso di omicidio su cui stava indagando, Lisa si rende conto che i lampi frammentari nei suoi sogni sono più antichi, memorie sopite di un'estate lontana in riva a un piccolo lago fra le montagne del Trentino, che portano con sé dettagli sempre più inquietanti: il cadavere di una donna su un'isola tetra e una bambina mai più tornata. Lisa è certa che anche quei ricordi siano legati al killer a cui sta dando la caccia, e decide così di tornare in segreto al paese di quella lontana vacanza, senza immaginare che qualcosa di terribile si agita ancora nelle acque del lago.

15 febbraio 2020

GENNARO SERIO NOTTURNO DI GIBILTERRA

Nell'appartata sala da tè del Grand Hotel Rodoreda di Barcellona, un giovane giornalista sta intervistando il celebre scrittore Enrique Vila-Matas. Ma, evidentemente, qualcosa va storto. Nella sala resta solo il cadavere dell'intervistatore, e Vila-Matas pare svanito nel nulla. Un detective scontroso, e fiero «nemico delle Lettere», si lancia all'inseguimento del supposto assassino con l'aiuto della sorella Soledad, medico legale e coltissima lettrice, che sembra invischiata nella vicenda più di quanto non dovrebbe. Si innesca così un congegno romanzesco composto di carteggi, referti, interviste, picaresche peripezie (e persino di un campionato mondiale dei detective letterari in cui si sfidano mostri sacri come Poirot, Montalbano, Maigret e Sherlock Holmes).

08 febbraio 2020

PAOLO REGINA MORTE DI UN CARDINALE

Un uomo cammina velocemente sulle sponde del Po. Ha le mani insanguinate. A un certo punto si ferma e lancia una rivoltella nel fiume, dove le acque sono più profonde. Poi si mette a correre. Poco più indietro, sotto i piloni del pontile, c’è un altro uomo con il foro di un proiettile sulla fronte. È il cardinale di Ferrara. Gaetano De Nittis, brillante capitano della Guardia di Finanza, il Corpo più “odiato” d’Italia, si trova a indagare su questa morte eccellente. Il caso lo trascina nelle sabbie mobili degli interessi dei notabili della città, tra intrighi di palazzo, giochi di potere e grossi accordi economici. De Nittis, con la colonna sonora del blues del suo idolo B.B. King, inizia così un’altra indagine “ufficiosa” nel tentativo di scagionare da un’accusa di omicidio un giornalista innocente. Il capitano dovrà fare anche i conti con un misterioso falsario di banconote e con un delitto irrisolto di venti anni prima. Il tutto mentre Rosa, la giovane donna che ama, si trova inaspettatamente faccia a faccia con il suo doloroso passato. Con il suo secondo romanzo Paolo Regina si conferma un giallista originale e ispirato, inventore di un protagonista indimenticabile che si muove in una città di provincia descritta magnificamente, con le sue contraddizioni, le invidie, le maldicenze, l’umanità e la cultura locale che resiste alle trasformazioni urbane.

BRUNO ARPAIA IL FANTASMA DEI FATTI



«Vi hanno mandato loro?» chiede Tom il Greco ai due sconosciuti che bussano alla porta della sua casa di vacanza in Québec. «Loro» sono gli uomini della Cia, l’Agenzia che Thomas Karamessines, detto il Greco, ha servito per tutta la vita. C’era proprio lui, infatti, a capo della stazione di Roma quando, tra il 1961 e il 1963, con la morte di Mario Tchou, l’attentato a Enrico Mattei, le incriminazioni e le condanne di Felice Ippolito e di Domenico Marotta, l’Italia perdeva di colpo ogni competitività in campo scientifico, politico ed energetico, avviandosi verso il declino attuale. Una semplice coincidenza? O dietro quel punto di svolta così drammatico per il nostro paese si nascondeva la longa manus della Cia e di Tom il Greco?
Dopo l’Italia, una lunga carriera avrebbe portato Karamessines a giocare un ruolo anche nei misteri più bui della politica internazionale, dall’assassinio di Kennedy alla cattura di Che Guevara e al golpe in
Cile. Ci sono, però, intrighi e segreti di stato che nemmeno gli uomini più scaltri riescono a tenere sotto controllo. Segreti che, in ore estreme, quando quei due sconosciuti bussano alla sua porta, non ha più senso nascondere.


FABIANO MASSIMI L'ANGELO DI MONACO



Monaco, settembre 1931. Il commissario Sigfried Sauer è chiamato con urgenza in un appartamento signorile di Prinzregentenplatz, dove la ventiduenne Angela Raubal, detta Geli, è stata ritrovata senza vita nella sua stanza chiusa a chiave. Accanto al suo corpo esanime c’è una rivoltella: tutto fa pensare che si tratti di un suicidio.
Geli, però, non è una ragazza qualunque, e l’appartamento in cui viveva ed è morta, così come la rivoltella che ha sparato il colpo fatale, non appartengono a un uomo qualunque: il suo tutore legale è «zio Alf», noto al resto della Germania come Adolf Hitler, il politico più chiacchierato del momento, in parte anche proprio per quello strano rapporto con la nipote, fonte di indignazione e scandalo sia tra le file dei suoi nemici, sia tra i collaboratori più stretti. Sempre insieme, sempre beati e sorridenti in un’intimità a tratti adolescenziale, le dicerie sul loro conto erano persino aumentate dopo che la bella nipote si era trasferita nell’appartamento del tutore.
Sauer si trova da subito a indagare, stretto tra chi gli ordina di chiudere l’istruttoria entro poche ore e chi invece gli intima di andare a fondo del caso e scoprire la verità, qualsiasi essa sia. Hitler, accorso da Norimberga appena saputa la notizia, conferma di avere un alibi inattaccabile. Anche le deposizioni dei membri della servitù sono tutte perfettamente concordi. Eppure è proprio questa apparente incontrovertibilità dei fatti a far dubitare Sauer, il quale decide di approfondire. Le verità che scoprirà, così oscure da far vacillare ogni sua certezza professionale e personale, lo spingeranno a decisioni dal cui esito potrebbe dipendere il futuro stesso della democrazia in Germania…

LINDA TUGNOLI LE COLPE DEGLI ALTRI


La forma a ventaglio e il colore tipico di quel periodo autunnale, un giallo così acceso da sembrare innaturale. Impossibile sbagliarsi, per un giardiniere come lui: è una foglia di Ginkgo Biloba. Ed è la seconda cosa fuori posto che Guido nota in quel giardino trascurato, parte di una grande villa abitata solo per due settimane l’anno, in agosto. La prima, invece, è stata una ragazza bionda stesa a terra, con indosso un elegante vestito lungo, dello stesso punto di blu dei suoi occhi spalancati sul nulla. Forse per colpa di quel colore che lo riporta a un passato mai dimenticato, o per quella foglia inconfondibile in un giardino senza alberi di Ginkgo Biloba – un dettaglio che Guido, per qualche strana ragione, non segnala alla polizia –, o magari per quel sentore di un profumo antico e familiare che solo lui, grazie al suo olfatto finissimo, ha percepito sulla scena del delitto, comunque sia quella ragazza sconosciuta e il suo triste destino diventano quasi un’ossessione per Guido. Sebbene abbia svariati motivi per mantenere un profilo basso, non resiste alla tentazione d’intraprendere una sorta d’indagine clandestina parallela a quella ufficiale. E il punto di partenza è proprio la foglia di Ginkgo Biloba. Perché lì, in Valle Cervo, in alcuni giardini privati in effetti ci sono degli alberi di Ginkgo. Guido inizia così un pellegrinaggio nei luoghi che lo hanno visto nascere e da cui se n’era andato per cercare fortuna in Francia, ma dov’è tornato da qualche anno per ritrovare una certa tranquillità. Una valle dimenticata dal resto del mondo e in cui pare che il tempo sia sospeso, una valle dove tutti parlano poco e non succede mai nulla. Ma dove sono nascosti segreti che non è più possibile tenere sepolti…


EMILIO GENTILE QUANDO MUSSOLINI NON ERA IL DUCE



A marzo del 1912, il ventinovenne Benito Mussolini è solo un marxista di provincia. Appena quattro mesi dopo irrompe sulla scena nazionale, a capo della corrente rivoluzionaria che conquista la guida del partito socialista. Nei mesi successivi, come direttore dell’«Avanti!», è idolatrato dalle masse. Ma nell’autunno del 1914 sostiene l’intervento nella Grande Guerra: allora, in pochi giorni, perde ogni sostegno e viene bollato col marchio del traditore. Quando fonda i Fasci di combattimento, nel marzo del 1919, raduna poche centinaia di affiliati: quel fascismo è un movimento rumoroso ma marginale.  Nelle elezioni politiche di novembre, infatti, Mussolini prende meno di cinquemila voti, e ha la tentazione di abbandonare la politica. Emilio Gentile racconta la storia di un Mussolini per molti aspetti sconosciuto: non rivoluzionario, non anticapitalista, e neppure «duce»: un politico isolato, che si autodefinisce «avventuriero di tutte le strade». E che tre anni dopo, con spregiudicatezza, è pronto a rinnegarsi pur di conquistare il potere.







JOLE ZANETTI DIFETTI DI FAMIGLIA

Il crepuscolo sta calando e le ombre annunciano la fine di un’altra giornata. Una come tante. Né memorabile né straordinariamente ordinaria. Proprio come la quotidianità di Eva, che da tempo vive in un limbo tra il desiderio di cambiare e l’incapacità anche solo di provare a farlo. Ha paura di sconvolgere un fragile equilibrio. Quello che è convinta di aver trovato nel matrimonio con Marco, l’uomo che ha saputo darle ciò che durante l’infanzia non ha mai conosciuto: affetto e una famiglia. Eva ha sempre creduto nella loro unione. Finora. Dopo tredici anni di vita insieme, si è resa conto che la sollecitudine di Marco nasconde una gelosia soffocante che ha lentamente trasformato la loro relazione in una prigione. In un inferno di monotonia da cui Eva sa di dover fuggire al più presto, prima che il grigiore di un’esistenza sempre uguale a sé stessa la inghiotta. Così, una notte, mentre Marco dorme, esce di casa per concedersi una boccata di fumo e di libertà e vaga per il quartiere in cui abita da quando è sposata, pensando a cosa fare della propria vita, a come riconquistare uno spazio di autonomia. Ma non ne ha il tempo. Quel quartiere, che le era sembrato accogliente e ideale per una nuova famiglia, nasconde un’anima nera proprio come il suo rapporto con Marco, e le mostra il suo volto più crudele e violento.

DANIELE BRESCIANI ANIME TRASPARENTI

L’ispettore Miranda sa che le regole sono fatte per essere infrante. Per questo, quando gli viene chiesto di archiviare tre casi senza avviare alcuna indagine, non ci sta. Sembrano tanto diversi l’uno dall’altro quanto possono esserlo l’investimento di una donna incensurata, il ritrovamento del cadavere di una prostituta e l’omicidio di un delinquente da quattro soldi. Ma Miranda ha imparato con l’esperienza che, in ogni cosa, esistono legami invisibili. Questa volta, però, non è del tutto sincero, nemmeno con sé stesso. Perché c’è qualcosa di molto personale che lo spinge a indagare oltre e a far fare gli straordinari al suo intuito: conosceva Gloria, la donna che è stata investita. La conosceva talmente bene da aver avuto una relazione con lei. Talmente bene da coprire un’attività illegale, seppur svolta a fini umanitari. Da anni, infatti, Gloria gestiva la Casa dei cento bambini, un asilo gratuito per i figli di famiglie costrette a vivere nell’ombra, senza permesso di soggiorno, di genitori sfruttati per svolgere lavori umili e spesso massacranti. Un’isola felice in un paese non sempre accogliente. Miranda deve capire che cosa è successo. Deve credere che non si sia trattato di un banale incidente causato da un pirata della strada. In una Milano sferzata dal primo gelo dell’inverno, l’ispettore conduce un’indagine ufficiosa, ben oltre i limiti imposti da ogni regolamento. Ma questo, per lui, non è un problema: ha rinunciato alla carriera per difendere le proprie idee contro tutto e contro tutti. Quello che non sa è che il vaso di Pandora che sta per scoperchiare nasconde scenari oscuri e inquietanti persino per chi, come lui, si è costruito una corazza che credeva infrangibile.

05 febbraio 2020

PIERO COLAPRICO ANELLO DI PIOMBO RECENSIONE

Ho conosciuto Piero Colaprico circa tredici anni fa in un tendone della festa provinciale del PD. Ero agli esordi delle mie letture noir. In comune avevamo l'amicizia con Valpreda, ma lo scoprii leggendo LA TRILOGIA di Binda e lui lo scopre adesso.
Piero insieme a Massimo Lugli e Valerio Varesi è un giornalista di Repubblica
ma sia lui che Lugli sono due "Pistard" pistaroli, giornalisti d'inchiesta nei tempi caldi, gente che consumava suole delle scarpe e si faceva venire la colite mangiando male. Punto in comune TUTTI E TRE sono famosi scrittori noir.
Colaprico ha un fisico esile e non è assolutamente violento...fisicamente.
Con questo noir di Bagni,che agognavo da tempo, mi ha rifilato un pugno al plesso solare lasciandomi senza fiato.
Non perché è l'ultimo, ma è un capolavoro!
Parte lento, e forse ti fa tremare dubitare, ma poi capisci che è la trama che deve essere così, che è la storia che narra che pretende questo plot narrativo. Tecla e Carlo qualcosa mi hanno insegnato forse.
La trama è un filo d'Arianna che devi seguire bevendo lo stile narrativo parola per parola, perché l'argomento trattato è un labirinto oscuro, marcio e tutt'ora vivo e attivo.
Non finirò mai di ringraziare l'autore per questa uscita.
Mi piacerebbe averlo ospite al mio festival ma so che non ama troppo le presentazioni al contrario di Valerio e Massimo.
Ho evitato volutamente qualsiasi riferimento alla trama.
È un libro da acquistare conservare e leggere d'un fiato

GINO MARCHITELLI L'ASSENZA



Un grande amore clandestino tra due adulti viene interrotto all'improvviso da un intervento esterno, la distruzione e la perdita di un amore straordinario vissuto con dolore, rabbia e disperazione dai due porta all'incapacità di gestire la situzione. Il professor Moreno Palermo alla sua seconda indagine ci trasporta nel mondo degli amori che da virtuali diventano reali, alla rincorsa e ricerca di salvare i protagonisti da un terribile destino. Dall'Emilia, alla Puglia, giù in Sicilia e nel sud Milano le vite di Anna e Paolo si inseguno, si amano, si scontrano, si ritrovano e si perdono in una sequela di grandi emozioni e infinite disillusioni... fino a un finale da brivido





ALESSANDRA PICCININI IL PORTONE ROSSO

Da sempre Ludovica sfida le sue paure, ritrovandosi spesso in situazioni ambigue. Anche ora, che è un avvocato di successo e una donna bellissima, prossima alla realizzazione. L’attrazione per S., incontrato in occasione del terremoto marchigiano, la porta però sull’orlo del baratro.
Ludovica ha trascorso buona parte della sua vita a inseguire modelli ideali e sfidare le sue paure, ritrovandosi spesso, senza sapere il perché, in situazioni estreme o ambigue. Intuito, lucidità, una non comune capacità di analisi e una certa dose di fortuna l’hanno sempre salvata da strade senza ritorno.
Oggi è un attraente avvocato di successo, le piace apparire, si sente vicina alla realizzazione e la sensazione di vuoto che avverte da sempre le sembra sotto controllo.
Ma non è così.
Quando i violenti terremoti del 2016 devastano l’entroterra marchigiano, anche la vita di Ludovica viene scossa nel profondo. Proprio in quei giorni entra nella sua vita S., un uomo di poco più grande di lei, e tra i due nasce un’affinità intensa. Da subito, però, qualcosa non quadra. S. è bugiardo, gioca su più tavoli, ha accessi di collera, mostra strane perversioni, dà segnali sempre più evidenti di delirio, tenta di controllarla. Ludovica se ne accorge, ma non riesce ad allontanarlo.
Mentre lei si interroga su cosa le stia accadendo, gli eventi precipitano. La notte oscura dell’anima ha inizio: incubi e personaggi inquietanti si susseguono; l’esito di un test per malattie veneree potrebbe distruggerla, la Paura prende la forma di un’entità senziente che uccide, come in una vecchia leggenda di paese. Sconcertanti verità sulle perversioni sessuali di Italo, il suo ex socio di studio, si rivelano a Ludovica durante la conversazione con il barista di un privee.
Tutto diventa incomprensibile, niente ha senso, e a un tratto Ludovica si trova a guardare oltre il Portone Rosso. Così, comprende fino a che punto un omicidio infame abbia lasciato il segno, anche se sono passati 70 anni; che il suo nome avrebbe dovuto essere Olivia; che un amore può davvero durare per sempre, come una maledizione.

SILVIA BOTTANI IL GIORNO MANGIA LA NOTTE

Milano, estate. Le vite di tre sconosciuti all’improvviso s’intrecciano l’una con l’altra a doppio filo. Sullo sfondo, scintillante e buia, vive una città in piena, inarrestabile trasformazione.
Giorgio è un cinquantenne che soffre di gambling patologico. Ex pubblicitario rampante, oggi è un uomo cinico, cocainomane, dipendente dall’alcol e separato dalla moglie Marina, di cui è ancora profondamente innamorato; Naima è una bella ragazza di venticinque anni, italiana di origine marocchina, che pratica kickboxing e lavora come insegnante di sostegno in una scuola elementare; Stefano, figlio di Giorgio, è un ventottenne violento, praticante avvocato e militante neofascista.
Una sera, braccato dai debiti e dai suoi più cupi fantasmi, Giorgio rapina una donna per strada. Lei cerca di resistere, lo insegue, grida, chiama aiuto, ma viene travolta accidentalmente da un’auto. La donna immobile sull’asfalto è la madre di Naima. Giorgio non sa, non può sapere, che il suo destino da qui in avanti sarà legato alle due donne. A causa di suo figlio Stefano.


02 febbraio 2020

ANTONIO MANZINI SULL'ORLO DEL PRECIPIZIO

«Guardava il monitor del suo computer. Al centro del foglio bianco, in Times New Roman, corpo 14 maiuscolo grassetto, aveva scritto la parola FINE. L’orologio segnava le 23:30. Sull’orlo del precipizio, il suo ultimo romanzo, era terminato. Due anni, sei mesi e tredici giorni, tanto era costato in termini di tempo. A questo si dovevano aggiungere l’ansia, la fatica, le notti insonni, i dolori alla cervicale, 862 pacchetti di sigarette, tre influenze, 30 rate di mutuo. Alle 23:30 di quel 2 ottobre 2015 guardando quella parola semplice di due sillabe, Giorgio Volpe, uno dei più grandi scrittori italiani, si interrogava sul suo stato d’animo».

Cosa succederebbe se tutte le principali case editrici italiane si trovassero raggruppate sotto un’unica sigla? Giorgio Volpe è il più grande scrittore italiano, una potenza nel campo delle lettere. Alla consegna del nuovo romanzo Sull’orlo del precipizio, scopre che una cordata di investitori ha inghiottito la sua casa editrice. Ora al comando sono caricature in completo scuro che odiano le metafore e «amano le saponette se il pubblico vuole saponette». Cercando una via di fuga editoriale come un uomo che annega cerca l’aria, Giorgio affonda nel grottesco e nell’angoscia di chi vede messa in discussione la propria libertà di espressione. Antonio Manzini ha scritto una satira spietata ed esilarante. Una distopia alla Fahrenheit 451, dove è il mondo dei libri a bruciare se stesso e non un potere esterno.

GUIDO CONTI LA PIENA E ALTRI RACCONTI

Ci sono alberi, nella bassa padana, dimora di spiriti inquieti e bizzarri che, teso l’orecchio, sussurrano storie meravigliose, popolate da personaggi grotteschi e funambolici, sospesi sul filo sottile che divide la realtà dalla leggenda, il quotidiano dal fantastico.

Il Po scorre in mezzo a questa terra come un sogno ossessivo, a minacciare, “quando Dio la manda”, rovinose inondazione ma anche a dispensare speranze, abbandonando sull’argine un crocefisso di cuoio.

In un continuo gioco di alternanza tra Fato e Destino, si sviluppano le vicende della Tora, costretta a sbarazzarsi dell’uomo morto nell’apice del piacere o di Primo Ferrari derubato dagli amici sia della fedeltà della moglie che della carne sublime di Giné, il suo maiale prediletto.

CLAUDIA PETRUCCI L'ESERCIZIO

Giorgia incontra Filippo a una festa di laurea: lui si innamora della sua fragilità, lei si sente rassicurata dalla normalità di quel ragazzo laureato in Lettere, che ha dovuto rinunciare al giornalismo per dedicarsi al bar dei genitori. Come molti coetanei, la loro vita di coppia si scontra con ambizioni negate e costanti problemi economici, così Giorgia non riesce più a trattenere la sua inquietudine, che esplode quando ritrova per caso Mauro, il suo vecchio maestro di teatro. La recitazione era già stata per lei l'ancora di salvezza nei momenti più bui del suo passato, e il palco ora sembra finalmente riaccenderla. Ma incendiare un'anima irrequieta può diventare un esercizio rischioso se l'attrice protagonista perde di vista il confine tra realtà e finzione. Filippo e Mauro si troveranno complici e avversari al tempo stesso, sedotti da un gioco pericoloso per riconquistare Giorgia: scrivere il copione per la sua vita perfetta.

01 febbraio 2020

CLAUDIO LAGOMARSINI AI SOPRAVVISSUTI SPAREREMO ANCORA

Una “tragedia della porta accanto” dai toni alti e trasfigurati. Il ritratto lucido e impietoso di un mondo al tramonto visto con gli occhi di un ragazzo, impotente di fronte alla realtà in cui si trova a vivere.
Un giovane è costretto a tornare nel paese d’origine per vendere la casa di famiglia: è un ritorno doloroso così come lo è il ritrovamento di cinque quaderni scritti molti anni prima dal fratello maggiore Marcello. Leggendoli per la prima volta, il ragazzo, ormai uomo, ripensa all’estate del 2002 quando i due fratelli vivevano ancora insieme, con la madre e il compagno della donna, soprannominato Wayne. La loro casa era stretta tra quella della nonna materna e quella di un uomo, soprannominato il Tordo. Nei quaderni, Marcello racconta molte cose di quell’estate: le cene all’aperto, le discussioni furibonde tra il Tordo e Wayne, la relazione amorosa tra la nonna e il Tordo, il rapporto conflittuale tra la madre e la nonna. Fra i vari episodi riportati nel diario, uno in particolare sarà quello che scatenerà la serie di eventi che porteranno all’inaspettato e drammatico epilogo.
Con uno stile perfettamente calibrato e una lingua che mescola tratti eleganti a termini più colloquiali, Claudio Lagomarsini riesce a svelare il crepuscolo di un mondo patriarcale, sessista e arretrato, fotografando dall’interno una società destinata a sparire, eppure ancora così rappresentativa del nostro paese. Tra cene in cortile, litigi per un orto e comportamenti retrogradi, Ai sopravvissuti spareremo ancora racconta la quotidianità di un ambiente provinciale piccolo e meschino e l’angoscia di chi con questa quotidianità non riesce più ad avere a che fare. L’attaccamento ai confini della proprietà privata e l’atmosfera oppressiva del nucleo abitato al centro della storia sono il cuore di questo notevole romanzo d’esordio che affronta il dramma di un ragazzo che, pur dotato di un’acuta sensibilità, nulla potrà contro la grettezza e la distanza della famiglia che gli è toccata in sorte.

«Da un po’ di tempo, un avvocato che arringa nel mio tribunale notturno ripete la stessa solfa. L’assassino, sostiene lui, non è nessuno di noi. È l’intonaco color pesca, la siepe del pitosforo, il ghiaino bianco delle nostre case. Sono le taccole in umido che abbiamo mangiato, i racconti piccanti che ci siamo scambiati e l’aria che abbiamo respirato. Presi da soli, sono tutti ingredienti innocui, vagamente pittoreschi. Insieme hanno creato una miscela di cui nessuno poteva sospettare il potenziale esplosivo».

PAOLO ROVERSI ALLA VECCHIA MANIERA

 Sono gli ultimi giorni dell’Expo, e Milano galleggia in un inedito silenzio quando in pieno centro viene ritrovato il cadavere di un avvoca...