«Fate ogni giorno qualcosa che vi spaventi» è una frase di Kurt Vonnegut molto amata da Rastello, che fa da sfondo a tutta la sua produzione giornalistica e anche letteraria, qui raccolta attraverso una selezione di articoli e reportage. Rastello non ha paura di inoltrarsi là dove la realtà è più contrastata o addirittura tragica, come se – scrive Morbello nella prefazione – si preoccupasse sempre di «trovare il punto di massimo attrito» sia quando parla della sua città, Torino, squassata da una profonda trasformazione dopo l'effimero rilancio delle Olimpiadi invernali, sia quando ci porta in qualche paese sperduto dell'Asia centrale o in Amazzonia, tra popoli in guerra e in povertà. Nessuna conciliazione o effetto edulcorante: i viaggi in Bosnia centrale in tempo di guerra, gli antagonisti della Val di Susa e il fantasma dell'alta velocità, le torture a due passi da casa nel carcere di Asti, l'orrore del male colto in un pluriomicida (Donato Bilancia) – senza che mai il giudizio faccia velo sulla presa della realtà – sono offerti non come verità oggettive ma come altrettanti sguardi in cui prima di tutto è dichiarato il punto di osservazione. Per questo il racconto che l'autore ci propone richiede sempre uno sforzo di adesione, o magari di contrapposizione. Come dire: «Tu, lettore, da che parte stai? Io sto qui». Il suo è sempre un situarsi dalla parte più complicata, non per assumere una postura data a priori ma perché i fatti e le persone di per sé sono solcati da luci e tenebre, e perché è «impossibile mettersi in regola con l'ordine del mondo»: eppure ciò non vuol dire rinunciare ad avere uno sguardo ironico e divertito sulle cose, come quello che Rastello ha mantenuto anche nella malattia.
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